venerdì, 19 Aprile 2024
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Incontro su nuovo Piano nazionale logistica

Il sottosistema portuale Alto Adriatico di interesse “europeo”

La crisi del 2008/2009 ha accelerato un processo profondo di ristrutturazione dell’economia su ogni scala, sia globale che locale. Anche il sottosistema dei trasporti e della logistica non e' sfuggito alla cura.
Va salutata dunque con favore la riflessione avviata nell'ambito della Consulta per l’autotrasporto e la logistica e l'intenzione di produrre un nuovo “piano” per l'intero Paese.
In questo contesto, il sistema dei porti, che fungono da cerniera tra il sistema Paese e il resto del mondo, sono oggi ancor più importanti per il ruolo decisivo che le esportazioni stanno giocando  nel sostenere la crescita dell’Italia.
In un paese come l’Italia, profondamente integrato nell'UE, il sistema logistico può far ricorso anche a porti non nazionali e, viceversa, porti nazionali possono diventare la base portuale di sistemi logistico-trasportistici di altri Paesi.
Il caso dell'Alto Adriatico è emblematico: un multiport gateway “costretto” ad agire come un solo grande porto – quello rappresentato nel NAPA ( ) – pur con le complicazioni derivanti dalla compresenza di tre paesi, (Italia, Slovenia e Croazia) e alle relative tra regimi giuridici non armonizzati.

Gli obiettivi del sottosistema portuale Alto Adriatico

L’Alto Adriatico si trova oggi di fronte ad un bivio: è evidente che gode di una localizzazione eccellente, che può offrire il miglior transit time per i traffici tra l’Europa e l’estremo Oriente (oltre che ovviamente con tutto il Mediterraneo orientale) e le migliori performance ambientali; questo però non basta a convincere i signori dei traffici mondiali a risalire l’Adriatico se non si creano le condizioni infrastrutturali e organizzative per aumentare la scala delle operazioni portuali in Alto Adriatico.
È facile dimostrare che per l’intero sistema NAPA e quindi per il suo sottosistema italiano (Ravenna, Venezia e Trieste) una eliminazione delle strozzature prima organizzative e poi infrastrutturali (portuali e ferroviarie) che ne limitano l'operatività potrebbe agevolmente far passare progressivamente il mercato servito da questi porti dal modesto milione e mezzo di teu/anno di oggi ad almeno 10 milioni di teu/anno (in media 2 milioni di teu/anno per ognuno dei cinque porti) nel giro di alcuni anni e comunque entro un orizzonte temporale sufficiente ad ammortizzare l’investimento in infrastrutture dalla vita minima di 20-25 anni come quelle qui interessate.
Adeguamenti strutturali delle accessibilità nautica, uso di ampi spazi disponibili – ex industriali o vergini – modesti interventi per il collegamento ai corridoi europei possono mettere in condizione questi porti di raggiungere i mercati naturali.
Venezia ad esempio arriva oggi a un potenziale di 4,5 milioni di teu/anno nell'arco di una regione delimitata entro i 150 km di distanza dal porto. Venezia come è stato reso noto negli ultimi mesi ha predisposto e sta predisponendo ogni progetto per poter fare la sua parte in questa funzione italiana e europea al servizio del sistema trasporti stico e logistico.

L’esigenza dell’autonomia finanziaria

Ma l'ostacolo principale – inevitabile di questi tempi – è costituito dalla difficoltà di finanziamento se non con il ricorso al project financing.
Ed è in tal senso opinione diffusa, condivisa e fondata che la riforma della legge 84/94, attualmente all'attenzione del Senato, acquisterà senso compiuto solo se conterrà norme che garantiscano definitivamente la piena autonomia finanziaria delle Autorità Portuali. Autonomia finanziaria non più solo relativa alle spese correnti, ma anche autonomia di spesa per investimenti, tipicamente in infrastrutture portuali.
Il principio che si vuol in questo modo affermare e': ogni Autorità Portuale deve essere messa in grado di rischiare per sé assieme ai propri terminalisti, coinvolti tanto più quando si dovesse ipotizzare che ogni investimento portuale vada realizzato solo in presenza di una quota obbligatoria di cofinanziamento privato.
Le Autorità Portuali rese finanziariamente autonome sottoporrebbero quindi ogni investimento al doppio vaglio del successo di ogni singolo porto e del parere concorde del cofinanziatore privato; così, nessun porto in crisi di traffico e quindi di entrate, potrebbe intraprendere investimenti di dubbia utilità.
Secondariamente, si instaurerebbe un meccanismo virtuoso di concorrenza tra porti giocato sia sull'efficienza comparata nel gestire i traffici che sulla capacità relativa di effettuare i migliori investimenti nel momento più' opportuno. Realizzeremmo finalmente alcune condizioni di quella “concorrenza tra i porti” che la 84/94 non ha saputo o voluto affrontare limitandosi a regolare la “concorrenza nei porti”.

L’esigenza del coordinamento nei porti

Tuttavia, anche un’autonomia di spesa che possa garantire indipendenza nella scelta degli investimenti da compiere è condizione necessaria, ma non sufficiente a innescare un meccanismo di reale concorrenza tra porti che si invera solo se l'Autorità Portuale può controllare le determinanti dei propri flussi finanziari in entrata, in primis i livelli e la composizione dei propri traffici. Infatti, per poter essere responsabile dei propri equilibri economico-finanziari ogni Autorità Portuale deve essere messa in condizione di poter influire, nei limiti definiti da regole certe, su ogni prezzo (o tariffa) o ogni quantità relativa ad ogni servizio, pubblico o privato, fornito in porto alla nave e/o alla merce.
Ma, se per garantire un’autonomia finanziaria dal lato della spesa è sufficiente lasciare che i porti scelgano autonomamente come investire le proprie risorse, per l’autonomia finanziaria dal lato del reperimento delle risorse è necessario dotare i porti di una autonomia operativa che possa consentir loro di svolgere un ruolo attivo della determinazione delle azioni da compiere per rendere efficiente e competitivo il proprio porto.
L’autonomia finanziaria si otterrebbe dunque come risultato formale di un modello operativo-gestionale nel quale le istituzioni di ogni singolo porto agiscono in modo autonomo e coordinato per aumentare i traffici nel proprio scalo.
L’estrema complessità del sistema portuale, in cui il ruolo dei vari soggetti sono intrecciati gli uni agli altri, in cui le istituzioni hanno spesso compiti complementari, rende facile comprendere che il porto più efficiente in banchina può non vincere la competizione se i servizi di contorno non sono altrettanto efficienti. Il sistema in ogni porto può alternativamente incepparsi su una inefficienza tariffaria, un inefficienza doganale, sanitaria o di polizia.

L’ipotesi di decentramento dei poteri nei porti

Si potrebbe quindi ipotizzare un decentramento delle competenze a livello di singolo porto, e l’organizzazione di un sistema di coordinamento tra i vari attori istituzionali. Maggior efficienza del sistema si tradurrebbe direttamente in una maggior competitività.
E’ prioritario quindi individuare un soggetto che -  dotato di strumenti idonei – organizzi e regoli i rapporti tra le singole istituzioni/soggetti portuali per ridurre o eliminare conflitti, contraddizioni, disarmonie, interventi inutilmente duplicativi e quindi antieconomici.
La riforma della portualità non può non passare attraverso l’individuazione di questo soggetto, responsabile della competitività del porto. 
E’ nostra opinione che il potere di coordinamento conferito dalla legge debba poter essere esercitato su due livelli distinti:

• Organizzazione e coordinamento delle attività dei vari attori nell’ambito dell’ordinaria amministrazione delle attività,

• Potere di intervento diretto nella risoluzione di situazioni di particolare interesse e gravità, intraprendendo tutte le azioni necessarie richieste per la soluzione di circostanze contingenti tali da pregiudicare il corretto funzionamento del porto.

Ad esempio si può ipotizzare la situazione in cui la Sanità Marittima si dovesse trovare in carenza di organico.
Ciò comporta una riduzione dei ritmi dei controlli sanitari, l’allungamento dei transit time per le merci soggette a controlli e maggiori costi per l’utenza.
L’Autorità Portuale dovrebbe poter intervenire direttamente reperendo presso altre istituzioni sanitarie il personale richiesto e trasferendolo presso le strutture del porto.
In conclusione, dato che l’Autorità Portuale è l’ente deputato alla gestione e alla regolazione dei traffici marittimi, nonché allo sviluppo della competitività/efficienza di un sistema portuale, è ad esso che andrebbe conferito il ruolo di coordinamento attraverso – ma è solo un’ipotesi – la stipula di una convenzione quadro fra l’Autorità Portuale stessa e le altre amministrazioni coinvolte nella gestione del porto.

Luca Barassi
Luca Barassi
Direttore editoriale e responsabile.
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